Roma pullula di ristoranti di cucina tipica: molti, anche se nati con le migliori intenzioni, durante gli anni si sono trasformati per regalare un’esperienza non veritiera ai turisti. Tra tutti i quartieri, Trastevere è il clou di questo movimento: file chilometriche per potersi sedere giusto un quarto d’ora e gustare una carbonara nella padella. Poi diciamolo, questa cosa dell’attesa funziona benissimo: è facile trarre la conclusione che se c’è una lunga fila allora deve per forza valerne la pena; ma non sempre è così, anzi, quasi mai.
Tra locali che mettono la panna nei primi e alcuni che il guanciale non sanno neanche “dove sta di casa”, c’è sempre la famosa “eccezione alla regola” e parliamo di Checco Er Carrettiere. Un locale storico (aperto dal 1935) dall’atmosfera calda e accogliente, che fa ancora cucina della tradizione con ingredienti locali e di alta qualità. Qui il testimone passa di generazione in generazione, arrivando alla terza, con Stefania a capo della cucina e della sala, Susy che si occupa della carta dei vini e dell’accoglienza, Diomira e Laura.
È proprio Stefania che ci fa da guida nell’esperienza culinaria provata venerdì 18 novembre a pranzo: piccoli assaggi di tante cose, così lei stessa è sicura di aver fatto provare di tutto (e di far alzare tutti sazi).
Si parte con dei supplì classici; carciofi alla giudia, equilibrati tra il croccante dell’esterno e il morbido dell’interno; infine un piatto che a Roma non si trova poi così facilmente nei menù, vale a dire la “frittata de patate”, con patate lesse schiacciate, condite con cipolla e salsa di pomodoro.
Viene servita poi la zuppa e quale miglior scelta se non quella di ceci, con aglio e rosmarino. Nonostante la zuppa sembri perfetta nella sua semplicità, Stefania ci tiene a far sapere che è un piatto difficilissimo da fare e noi le crediamo sulla parola.
È la volta del primo, anzi, dei primi: spaghetti cacio e pepe, con una crema densa di pecorino e la nota di pepe che spicca, e dei “bombolotti” all’amatriciana; entrambi ottimamente riusciti.
Si passa poi ai secondi, per non farsi mancare proprio nulla: cotolette d’agnello e coda alla vaccinara e, serviti a parte, dei carciofini fritti e le famosissime puntarelle con salsa di alici. Una particolare menzione va proprio alla carne della coda alla vaccinara: così morbida da sciogliersi al palato.
Naturalmente un pasto non può dirsi concluso senza un po’ di dolcezza e Stefania ne approfitta per servire ben tre dessert: una torta allo zabaione, un tiramisù e la crostata con marmellata di visciole.
Mentre Stefania raccoglie i piatti vuoti, si lascia andare ai racconti: parla del rapporto con suo nonno e di quanto, grazie a lui, sia sempre stata legata al ristorante; dell’idea riuscita del take away (che funziona ancora) per far fronte alla pandemia e dell’apertura della pasticceria proprio accanto al ristorante. Per lei il ristorante è memoria e tutto riconduce ai ricordi: dalle pareti in legno piene di foto in bianco e nero di grandi artisti che sono passati dal ristorante, ad una cucina che rispetta delle tradizioni che ormai si stanno perdendo.
Stefania si immagina lo stesso Checco Er Carrettiere anche tra 50 anni e ora, che è nonna anche lei, vuole trasmettere ai suoi nipotini l’impegno e la voglia di mantenere tutto proprio com’è: una piccola squadra di giovani che sarà il futuro di un posto che sa di domenica.









